"Le statue di Bernarda Visentini non sono fatte per essere contemplate singolarmente, ma vanno ammirate nel loro complesso, come il dipanarsi di un discorso, o se si vuole un racconto, insieme autobiografico e universale, italiano nella sua essenza e nel contempo pieno di riferimenti all'arte africana o addirittura dell'isola di Pasqua. Naturalmente non sono affini alla statuaria classica perché il diritto alla semplicità assoluta e primigenia è stata una delle principali conquiste estetiche contemporanee, ma sono sicuramente piene di un fascino astratto e primordiale che ne costituisce la più autentica peculiarità. Del resto nemmeno i Prigioni michelangioleschi o la stessa Pietà Rondanini sono classici, anzi forse sono la prima compiuta espressione del "brutismo" nell'arte occidentale. E il riferimento a Michelangelo non è certo casuale perché nessuno scultore venuto dopo il Buonarroti, ne sia cosciente o meno, ha potuto o voluto prescindere da quel contrasto tra forma e materia, ordine e caos, ragione e sentimento, di cui la statuaria michelangiolesca è intrisa. Contrasto appena accennato nello Schiavo del Louvre, levigatissimo e quasi interamente finito, ed esasperato invece nel supposto Atlante, povero lacerto di tronco umano oppresso da un peso quasi insopportabile eppure anch'esso assolutamente compiuto nella sua incompiutezza, pronto a sfidarci e venirci incontro non meno del suo così più perfetto "collega". E non ha neppure senso chiedersi se la scultura della Visentini sia astratta o figurativa quando in effetti la nostra artista parte sempre dalle figure umane o comunque da elementi naturalistici, per poi spesso scarnificarli o rimodularli, ritrovarne l'essenza, l'archetipo, che non è mai completamente astratto, cioè lontano o esente dalla realtà, anche quando ci appare nella più geometrica e stilizzata delle forme, ri-condotto poi al dualismo primigenio di maschile e femminile, perennemente in conflitto e perennemente in cerca di una alchimistica coniunctio, quella unione, appunto, in cui tutto si ricompone e da cui tutto proviene. Come osserva Sabrina Zannier riferendosi ad opere quali Nascita o Dea Aviforme «La Dea madre rappresentava la nascita, l'energia vitale, la fessura della vita che, secondo la ciclicità della natura, portava con sé anche la morte nella trasposizione dell'utero materno in grembo terrestre. Dalla Dea Madre che i primitivi declinavano in forme e figure diverse Bernarda Visentini ci conduce ad una Dea trasposta ulteriormente in corpi solidi e volumetrici, ruvidi e materici, oppure in figure appena accennate, lisce, candide ed eteree, se non addirittura impalpabili come nelle sovrapposizioni di immagini, tese a ricucire quel filo d'Arianna che dalla preistoria dei siti archeologici ci conduce alla sensibilità di un'artista contemporanea». In Glifo, invece due fessure squarciano la materia come fossero gocce di pioggia giganti, altrove l'equilibrio compositivo è raggiunto attraverso una felice combinazione di rette e di curve, e attraverso il segno che incide la ruvida materia come geroglifici impressi sulla pietra, mentre la slancio verticale prevale ne L'albero della vita, in Domvoi un semplice cubo contiene al suo interno un sinuoso serpente, il diabolico tentatore o piuttosto l'alchemico ouroboros che si morde la coda e allude alla ciclicità imperitura delle fasi naturali? lo propendo sicuramente per la seconda ipotesi. Come scrive poi Licio Damiani «L'interesse di Bernarda Visentini si rivolge soprattutto al periodo neolitico in cui racconta con entusiasmo un'arte primordiale, ma profonda nei contenuti, che assume valori concettuali e simbolici. L'umanità si identifica con la totalità cosmica e un simbolismo complesso e arcano modula le forme espressive. Per statue e rilievi Visentini usa il cemento leggero trattato come antichissima pietra. Con questo artificio, iconografie remotissime sono calamitate nella contemporaneità e l'oggi si ricollega all'antico. Cippi, blocchi itifallici, strutture totemiche, vortici solari, alberi della vita, snodi serpentini intessono dialoghi serrati in un linguaggio indefinito, incomprensibile e però straordinariamente evocativo». E che la nostra artista abbia conquistato una sua solida cifra stilistica lo confermano le parole elogiative che le ha dedicato Rossana Bossaglia: «È circa un secolo che l'arte contemporanea ha intrapreso l'intenso e articolato colloquio con la cosiddetta arte primitiva, o comunque con le matrici arcaiche della figurazione. E questo filone non si è mai più estinto, soprattutto nella pratica della scultura, anche dopo il concludersi delle avanguardie storiche. Ma Bernarda Visentini, tra i contemporanei, non solo mostra di ispirarsi con passione ed immedesimazione a quelle forme elementari e sintetiche, bensì di volerne mantenere i significati rituali e simbolici, di riviverne articolazioni espressive, specie quelle delle culture nordiche e della Mitteleuropa. Avvantaggiata dall'aver riflettuto su queste fonti iconografiche con attenzione scientifica, ella non fa quindi un discorso puramente viscerale, ma rivisita archetipi e forme evolute nel tempo con sensibilità storica...Le sue sculture, e le opere dalle tecniche diverse, che raffigurano le "grandi madri", animali dalla forte valenza simbolica (serpenti, civette, arieti), dischi, scudi e così via, colloquiano con i temi ancestrali, immedesimandosi con i loro significati perenni ma esprimendosi in un vitalissimo linguaggio personale». Sicuramente nella produzione della Visentini si riscontrano analogie con Constatin Brancusi e Amedeo Modigliani per ciò che riguarda una essenzialità nelle forme scul-toree, accompagnata ad una loro semplificazione, si pensi all'opera ll Bacio di Brancusi, realizzata nel 1907, mediante un grande blocco di pietra scolpito su cui vengono abbozzate le due figure. Non risultano decorazioni, poiché ad essere protagonista è quel puro sentimento che connota i soggetti. Anche nella Visentini emerge quella freschezza e immediatezza tesa a valorizzare al massimo i messaggi impliciti dei suoi manufatti. Nulla si manifesta come ornamento bensi è solo la sostanza campo di studio e ricerca dell'artista. Sicuramente, come sopra accennato da altri, è indubbia anche una matrice che risale ad un'arte preistorica, che va dal Paleolitico superiore all'età del Bronzo, in cui le statue erano modellate sommariamente e i particolari morfologici ridotti all'essenziale. Proprio tale ultima caratteristica determina nelle opere della Nostra una vigorosa plasticità estremamente efficace."

prof. em. Sergio Rossi - Critico d'arte, "Tiltestetica", Esposizione Triennale di Arti Visive a Roma 2014 - Editoriale Giorgio Mondadori